Storie d’ordinaria Sfiga

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Storie d’ordinaria Sfiga: vol.1

Miei carissimi lettori, vorrei introdurvi questo nuovo piccolo progetto che spero vivamente di riuscire a portare avanti con costanza. 

Il titolo è abbastanza chiaro ma nonostante questo ci tengo a fare una precisazione: io sono una persona sfigata. Non in senso propriamente negativo. No, la mia è quella sfiga tragicomica che a tratti può sembrare surreale. 

A me succedono tutte quelle cose che voi pensate possano essere rappresentate solo sul grande schermo da personaggi come il Ragionier Ugo Fantozzi. Ebbene sì, la mia vita è una costante commedia fatta di sketch divertenti. Per questo motivo ho pensato di rendere partecipe delle mie sventure anche il resto del mondo. 

Spero di strappare un sorriso a tutti con le mie gag. 

Storie d’ordinaria Sfiga: vol.1
Vacanza a Vienna.
Giorno 1.

Sono una persona particolarmente freddolosa e di conseguenza questa mia predisposizione mi ha portato ad odiare l’inverno. Da qui, già non si spiega la scelta di un viaggio a Vienna i primi di Febbraio. Forse io e la mia fedele compagna di (dis)avventure ci eravamo illuse che la magica città di Sissi ci avrebbe scaldato. O forse lo avrebbe fatto il cioccolato. O forse l’alcol. Punti di vista insomma.

Ma sto divagando, dicevo che sono una persona che odia particolarmente l’inverno. Una di quelle che quando sentono freddo si inveleniscono tanto che manco il signor Scrooge a Natale. E questo mio odio profondo non è riservato soltanto al gelido e pungente inverno. No, sono infatti anche un’accanita antisportiva. Io divaneggio, mangio, leggo, guardo Netflix e mi trascino per casa in cerca della prossima merendina da fagocitare sul divano. Se proprio proprio mi sento in colpa – evento decisamente raro – vado a fare una camminata. Ma lo sport, qualunque esso sia, è per me off limits. 

Da cui eccoci arrivati al nocciolo della questione. Che aveva nel cervello, una come me, che già odia l’inverno, il freddo e l’attività fisica, quando ha deciso di andare a pattinare sul ghiaccio a Vienna?

E’ una domanda per la quale purtroppo non ho ancora trovato risposta. 

La demente ha pure insistito con l’amica per andare a pattinare, sostenendo addirittura di essere in grado di farlo. Non chiedetevi perché l’abbia fatto, ci abbiamo rinunciato tutti. Forse ero memore di un bellissimo momento, risalente a dieci anni fa, in cui il mio professore di educazione fisica portò l’intera classe a pattinare. Ricordo il freddo ma anche il divertimento. Ricordo qualche caduta, ma niente di ché. O forse sono stati film come “Ice Princess”, a gasarmi e a portarmi al suicidio assistito che ho vissuto. Quale che sia la ragione, sta di fatto che dopo dieci lunghi anni rimetto i pattini ai piedi e scendo in pista.

Adesso, secondo voi, cosa sarà successo?

Esatto cari miei, sono caduta. Ma non caduta e basta. No, io dovevo cadere come Tom che inciampa nella buccia di banana lasciata da Jerry. Io dovevo cadere con tutta la grazia e l’eleganza del famoso elefante in cristalleria. Io dovevo cadere come una vera scema insomma. 

Al rallentatore dunque c’è stata la mia perdita d’equilibrio all’indietro, gambe in aria, chiappe a terra, ipermega testata che mi ha fatto rimbalzare il cervello dentro al cranio almeno tre volte e poi di nuovo chiappe in terra.

Per quello che mi sembra un istante infinito resto immobile a sentire il rumore del mio cervello che ancora non si è fermato. Presente una pallina matta che rimbalza dentro una scatola? La sensazione era quella.

Non appena mi rendo conto della mega figura di emme cerco di alzarmi, salvo non riuscirci. Accorre in mio soccorso la molto scontrosa signorina della biglietteria, probabilmente abituata a gente inetta che le muore costantemente sotto agli occhi. Mi tende la mano con aria annoiata e quasi quasi scocciata, ma io l’accetto con la gratitudine con cui un povero Cristo disperso nel deserto accetta dell’acqua sporca. Insomma mi alzo e mi aggrappo con forza alla staccionata. Ovviamente davanti a me chi mi ritrovo? Una felice famiglia italiana. Non bastava aver fatto una splendida figura in mezzo agli austriaci, no. Dovevano essere presenti degli italiani a testimoniare la mia meschina inettitudine. 

– Si è fatta male signora?

Se non fossi stata anestetizzata dal dolore, quel signora avrebbe decisamente ucciso la mia ancor giovane persona, ma come dicevo stavo da gatti. E poiché l’amor proprio viene prima di qualunque ammissione quello che me ne è uscito in risposta è stato un bel:

– Non mi so fatta nulla, non mi so fatta nulla.

Erano secoli che volevo citare Pieraccioni quando si schianta con il motorino dentro casa. Attenti a cosa desiderate. 

– Ma è da sola signora?

Di nuovo. Lascio ancora correre perché il criceto che sostituisce il mio cervello sta ancora contando le stelle che gli ruotano sopra. 

– No, sono con una mia amica, ma lei è molto più brava di me. 

Dico con fermezza indicando una sagoma rossa che zampetta con grande precarietà nella mia direzione. Tutta concentrata sulla sua salvaguardia personale – essendo lei una persona intelligente – rimane concentrata sui suoi malfermi passi, e non mi nota. I signori che mi dicono poi essere pugliesi si guardano perplessi. Credetemi, volevo dir loro, sono perplessa anche io. 

– Be’, allora noi andiamo. L’importante è che non abbia battuto la testa. 

Mento sfacciatamente dicendo che no, quella crepa che si è formata sulla lastra di ghiaccio era lì già prima della mia caduta. 

Dopo un giro di pista appare la mia amica, che viene ragguagliata sull’incidente e ce lo buttiamo alle spalle con una risata. La botta si fa sentire e il resto della pattinata mi risulta particolarmente difficoltoso, per cui decidiamo di andare a cena. Sopraggiunge così la paura di un trauma cranico disastroso che mi potrebbe costare la vita e, nel giorno del suo compleanno – ovviamente non c’era bisogno di dirlo che fosse una giornata speciale – rovino l’atmosfera e la serata in grande stile con le mie paturnie e la mia ansia. 

Alla fine raggiungiamo l’accordo di svegliarmi ogni due ore, per controllare che io stia bene, e con questo metodo passiamo la prima nottata ( di altre tre) in bianco, ma raggiungiamo sane e salve il mattino seguente. Ora, tra i sintomi del trauma cranico c’è “stato confusionale”; potete immaginarvi la faccia della mia amica quando l’indomani le chiedo “in quale mano va tenuto il coltello?”. Ma incurante del pericolo io insisto per non farmi visitare da alcun medico per due validissime motivazioni:

1) Avevamo già i biglietti per tutti i musei visitabili in quattro giorni e non volevo rovinare la vacanza di compleanno della mia amica. Già che le avevo rovinato la cena;

2) Mia madre, donna di gran cuore, dopo il mio resoconto dell’avventura sul ghiaccio se ne esce esclamando “Tanto l’hai testa l’hai battuta quando sei caduta dal seggiolone e sappiamo che è dura, sicché stai tranquilla”. Come non prestare fede all’amore e alla preoccupazione di una madre?

Insomma, miei cari amici. Quattro giorni abbiamo passato a Vienna io e la mia amica. Due ore dopo essere scesa dall’aereo io ho piantato il coccige sul ghiaccio che ancora oggi, in data 10 Febbraio (eravamo partite il 3), mi duole. Potete immaginarvi cos’è stato portare in giro un’invalida che non poteva abbassarsi, piegarsi, scendere o salire scale, correre o fare scatti di alcun genere.

I presenti dicono che è stato esilarante vedermi scendere le scale come un’ottantenne con la sciatica. Mentre i santi invocati ogni qual volta dovevo correre per prendere il tram, attraversare prima che scattasse il rosso, inciampavo su qualche gradino – perché manco a dirlo io non alzo i piedi quando cammino – si dicono esausti per il loro continuo intervento in mio soccorso.

Eventi surreali 1 – Jay 0. Avanti con la prossima gag.

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