Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare -Piccoli lettori crescono

Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare -Piccoli lettori crescono
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Oh, finalmente riprendo in mano la rubrica per i più piccoli! È un periodo particolare per me, quando programmo qualcosa “BAM”! Imprevisto! E a novembre ho avuto degli intoppi abbastanza dolorosi che mi hanno impedito di pensare e scrivere bene. Al momento sto meglio, per cui eccomi qua a parlarvi di uno dei libri del mio cuore.

Once upon a time…

Vi ho già raccontato della mia maestra delle elementari, ma anche stavolta sarà la protagonista dell’introduzione di questo articolo. Lei è stata la miglior maestra che potessi avere, era buona, materna e aveva tanta passione per il suo lavoro. Come già sapete, lei mi ha trasmesso l’amore per la lettura.

Correva l’anno 1998 quando ci fu la notizia che sarebbe uscito il film La gabbianella e il gatto. La maestra, allora, ci fece comprare il libro prima che uscisse nelle sale e lo leggemmo insieme. Mi pare fosse un paio di capitoli a lezione, o qualcosa di simile. Leggevamo un pezzetto per uno e poi discutevamo di ciò che era successo. Lo analizzammo molto bene, tanto che quelle lezioni mi sono rimaste impresse ancora oggi, nonostante siano passati praticamente venti anni.

Poi, una volta finito tutto il lavoro di lettura, analisi, chiacchiere e disegni, ci portò al cinema del paese a vedere il film! Fu un’emozione unica, perché era la prima volta che guardavo un film tratto da un libro che avevo già letto.

Prometti…

Ma di cosa parla? Com’è possibile che un libro con un titolo così strano sia anche così bello? Calma, calma, vi spiegherò tutto!

Il racconto si apre con uno stormo di gabbiani, che rientra dalla migrazione e che, sorvolando il mare, avvista un banco di aringhe. L’attenzione si focalizza su Kengah, una giovane gabbiana che è pronta a deporre il suo primo uovo e che si tuffa per abbuffarsi di pesce. Purtroppo, mentre ha la testa sotto l’acqua, non sente il capo-stormo gridare al pericolo e, riemergendo, si ritrova sola in mezzo al mare. Il pericolo era una grossa macchia di petrolio, chiamata dai gabbiani ”

Kengah e Zorba

la peste nera” e che purtroppo la prende in pieno. Riesce a spiccare il volo e, con estrema fatica, raggiunge Amburgo.

Intanto vediamo il protagonista della storia, Zorba, un grosso e pigro gatto nero (con una macchia bianca) che è intento a salutare il suo padroncino prima che parta per le vacanze estive. Il micio è sdraiato sul suo balcone al sole, quando Kengah precipita lì vicino e, con le ultime forze, depone il suo uovo. Vi è poi questo dialogo, che per me è un’ondata di nostalgia:

<Promettimi che non mangerai l’uovo> stridette, aprendo gli occhi.
<Prometto che non mi mangerò l’uovo> ripeté Zorba.
<Promettimi che ne avrai cura finché non sarà nato il piccolo> stridette, sollevando il capo.
<Prometto che avrò cura dell’uovo finché non sarà nato il piccolo>
<E promettimi che gli insegnerai a volare>
Allora Zorba si rese conto che quella sfortunata gabbiana non solo delirava, ma era completamente pazza.
<Prometto che gli insegnerò a volare. E ora riposa, io vado in cerca di aiuto> miagolò Zorba.

Fortunata

Ovviamente, la povera Kengah non ce la fa. Zorba si ritrova a doversi prendere cura di un uovo,

Zorba e l’uovo

insieme al suo gruppo di amici gatti. Diderot, il gatto intellettuale, scopre sull’enciclopedia che le uova vanno covate, cosa mai successa prima ad un gatto. Zorba però mantiene la sua promessa, non mangiando l’uovo e covandolo fino alla nascita della piccola. La gabbianella viene battezzata Fortunata, vista la condizione in cui è nata.

La piccola cresce credendo che Zorba sia la sua mamma (i cuccioli e l’imprinting, ci spiegò la maestra) e di essere un gatto lei stessa. Zorba, però, continua a pensare che la povera Kengah fosse pazza: lui ha potuto covare l’uovo, si sta prendendo cura di Fortunata, ma non potrà mai insegnarle a volare! Come potrebbero lui e i suoi amici gatti insegnarle qualcosa di cui non sanno nulla? Nemmeno l’enciclopedia di Diderot è d’aiuto.

Superando varie difficoltà, tra cui quella dei malvagi topi di fogna che vorrebbero mangiarsi la

Fortunata e la sua famiglia

gabbianella, Zorba riesce, con l’aiuto dei suoi compagni Diderot, Colonnello, Segretario e Sopravento, a diventare un gatto di mare e a far nascere e crescere nella gabbianella il desiderio tanto sperato: volare. Per insegnarle a volare deve chiedere l’aiuto di un umano; in questo modo infrangendo, tuttavia, il tabù che vieta agli animali di comunicare con loro direttamente, e di dare evidente prova d’intelligenza. Zorba però sostiene che basti scegliere bene con quale umano “miagolare”: un poeta, il padrone di Bubulina, una gatta bianca della quale tutti i gatti del porto sono innamorati. Il poeta spiega ai gatti come entrare nel campanile di San Michele e come Fortunata può imparare a volare: saltando dalla cima del campanile.

Vola solo chi osa farlo

Non vi starò a dire se Fortunata, alla fine, decide di provare a volare, se ci riesce o se preferisce rimanere “gatto” e vivere con la sua famiglia adottiva. Per saperlo, dovrete leggere il libro! Tanto è molto breve, è scritto per i bambini e quindi un adulto lo può finire tranquillamente in un giorno, se è molto lento. Io l’ho riletto in un paio d’ore!

Penso che abbia una morale molto importante da insegnare ad un bambino. Non so se dal mio riassunto è chiaro, ma la trama è incentrata sull’amore, sulla lealtà (insomma, Zorba si fa in quattro per mantenere le promesse fatte ad un’estranea) e sulla diversità. Diversi sono Zorba e Fortunata, diversi sono i gatti e il poeta a cui chiedono aiuto. Si parla di affetto verso qualcuno che non è come noi e di fiducia totale nei confronti di qualcun altro che, solitamente, si tende a evitare. È una storia molto bella che dovremmo leggere tutti, adulti e bambini, soprattutto oggi, momento storico in cui i sentimenti vengono un po’ lasciati indietro e dove il diverso viene ancora allontanato.

Inoltre, insegna un’altra cosa che mi ha segnata da allora e che fa parte di me: nonostante si ami tantissimo qualcuno, bisogna capire i bisogni di questi e, se necessario, dobbiamo essere in grado di lasciarlo andare. Difficile, forse quasi impossibile, ma amare non significa tenere stretto a sé sempre e comunque, soprattutto se questo può portare sofferenza a chi diciamo di amare. Zorba vuole molto bene a Fortunata, ma sa che la sua natura non è quella e che non può vivere da gatto per sempre. Una lezione che dovremmo tenere sempre a mente.

In conclusione

Spero che questa chiacchierata sulla favola di Luis Sepùlveda vi sia piaciuta e vi abbia fatto venire voglia di leggerla. Io vi consiglio caldamente di farlo anche se non avete dei bambini a cui farlo, vi arricchirà comunque. E vi consiglio anche il film d’animazione, che ha una bellissima colonna sonora.

Un abbraccio dalla vostra S.!

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