Reading Time: 2 minutesHo scritto questa poesia per commemorare una ragazza che non conoscevo, ma che l’acqua trasportò verso il mare mentre, insieme al marito (erano sposati da tre mesi) cercava di mettersi in salvo dalla furia delle acque. Si tenevano la mano ma, ad un certo punto, lui la perse. Il marito venne ritrovato, malconcio ma vivo. Lei, purtroppo, morì e la trovarono in un luogo molto lontano a quello dove erano stati colpiti dall’alluvione. Non la conoscevo personalmente: so solo che si chiamava Martina e che nella bara le misero il vestito da sposa. Non ho mai avuti il coraggio di dire niente a lui, nonostante lavori vicino a casa mia, ma mi sentii di scrivere questi versi come se invece l’avessi conosciuta. La poesia è stata finalista al concorso “Fiori d’inverno” l’anno passato. Tutte le volte che torno a leggerla, non posso fare a meno di pensare a quanto in fondo tutto sia appeso a un filo sottile che rischia di lacerarsi per un niente. Martina avrebbe potuto avere tutto, e invece…
Non ho che me
Giornate di fine estate, ritmi ormai stanchi e rallentati
Il gorgoglio dell’acqua, il frusciare dei rami, il sospiro ancora tiepido del vento
Il sole è pallido, le nuvole confuse ,
profumi ormai autunnali si perdono nell’aria
Ma a un tratto l’acqua sale, inizia a matteggiare,
i rami fremono e si staccano, la terra si ribella
Il vento spazza via ,alberi, case, corpi, storie
Tutto scompare nel turbinio dell’acqua sporca, tra melma e sangue
Niente resiste
Tutto si adegua al flusso vorticoso e folle della morte
Solo le anime si salvano restando appese ai sogni di chi resta
Mi siedo all’angolo del mio passato
Ho freddo,
chissà se anche questa è vita
mi stringo forte
non ho che me
e mentre il cuore tace laggiù qualcuno inerme
osserva il cielo, il mare ,il fango
e me
mentre abbandono il mondo e volo via lontano
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